La spesa sanitaria Italiana – analisi di contesto

La spesa sanitaria italiana presenta un tasso di crescita reale quasi nullo nel decennio 2010-2019 (+0,4%) e inferiore rispetto a quello registrato nel decennio 2000-2010 (2,0%). Una dimensione importante della spesa sanitaria è la sua composizione rispetto ai soggetti pagatori. Essendo un settore critico di ogni Paese sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista economico, la sanità si caratterizza sempre per una forte presenza del settore pubblico, sebbene con obiettivi ed estensione variabili.[1]

Come si legge nel rapporto della Comunità Europea, la spesa sanitaria privata (ovvero sostenuta direttamente dal privato cittadino, che paga per prestazioni sanitarie di tasca propria), nel nostro Paese ha sempre rappresentato circa ⅕ del totale della spesa sanitaria[2].  Ciò nonostante, negli ultimi dieci anni è aumentata fino a raggiungere il 23,7% del BBtotale della spesa sanitaria nel 2017, affiancando la compartecipazione alla spesa prevista per moltissime prestazioni sanitarie, le visite specialistiche, i farmaci, tramite il ticket. 

La percentuale è nettamente superiore alla media dell’UE, pari al 16 %.

 

Fig. 1 – Distribuzione della spesa sanitaria Italiana. Fonte: statistiche sulla salute dell’OCSE, 2019 (i dati si riferiscono al 2017)

 

Bisogna considerare che

  • Il 40% della spesa sanitaria privata Italia è destinato all’assistenza medica ambulatoriale. 
  • Quasi la metà di questa voce di spesa è destinata alle cure odontoiatriche. 
  • I prodotti farmaceutici ambulatoriali rappresentano invece circa il 30 % della spesa sanitaria privata totale.

 La proporzione tra il contributo dei tre pagatori (settore pubblico, assicurazioni e cittadini-pazienti) può essere letta come una misura di equità del sistema sanitario. Più è elevata la copertura pubblica, infatti, più il sistema è caratterizzato da equità rispetto al reddito. Infatti, una quota di spesa pubblica elevata corrisponde ad una forte azione di redistribuzione della ricchezza, contribuendo a rendere il sistema più equo nell’accesso alle prestazioni.

L’Italia presenta un dato relativamente elevato di spesa per compartecipazione, 23,3%, a testimonianza del fatto che circa un quarto della spesa sanitaria nel nostro Paese ricade direttamente sull’individuo nel momento del consumo, mentre si mantiene marginale la percentuale di spesa per premi assicurativi obbligatori (0,2%) e quella intermediata dalle assicurazioni private (2,8%). Un recente studio effettuato sulla spesa sanitaria privata per il trattamento delle infiammazioni intestinali croniche suggerisce che in Italia, gli aumenti della spesa privata potrebbero essere considerati come una risposta da pazienti che mirano a compensare le carenze e le inefficienze nelle erogazioni della sanità pubblica, concludendo che bisognerebbe considerare l'aumento di questa voce di spesa come un indicatore di scarsa qualità dell'assistenza e difficoltà di accesso alle cure[3].

Il ruolo delle compartecipazioni potrebbe assumere particolare rilevanza nei Paesi in cui la spesa pubblica è sempre più soggetta a vincoli di budget e dove, come tendenza generalizzata, si è ridotta la copertura pubblica negli ultimi anni. In tali circostanze, e tenendo conto delle diverse determinanti di scelte di consumo pubblico e privato, infatti, la compartecipazione può evolvere concettualmente da semplice sostituto della spesa pubblica a contributo per un upgrade qualitativo dei servizi. In tal senso, invece che rappresentare uno strumento iniquo che porta alla rinuncia alle cure, la compartecipazione potrebbe rappresentare uno dei primi driver della diffusione di nuovi servizi e tecnologie, liberando così risorse pubbliche per i servizi essenziali e prioritari.

 

Fig. 2 – A sinistra: sintesi dell’area “Risorse economiche” nei Paesi Euro+UK (punteggio 1-10. 1=minimo, 10=massimo) 2022. A destra: Posizionamento dell’Italia nel KPI dell’area “Risorse economiche” 2022. Fonte: the European House- Ambrosetti 2022


La spesa farmaceutica in Italia e il ruolo di AIFA come garante di sostenibilità e appropriatezza

Nel 2021 la spesa farmaceutica totale, nella sua componente pubblica e privata, è stata pari a 32,2 miliardi di euro, in aumento del 3,5% rispetto al 2020 e corrispondente all’1,9% del PIL a prezzi correnti. La spesa farmaceutica pubblica lorda, con un valore di 22,3 miliardi di euro, rappresenta il 69% della spesa farmaceutica totale ed è cresciuta del 2,6% rispetto al 2020; la spesa privata, includendo anche la compartecipazione dei cittadini, è risultata pari a 9,2 miliardi di euro[4].

Tra le variabili che influenzano la spesa farmaceutica territoriale vi è la compartecipazione del cittadino. La compartecipazione del cittadino corrisponde a uno strumento di controllo del consumo e della spesa dei medicinali, che, in Italia, consta di due elementi: il ticket per ricetta (o per confezione), il cui importo varia nelle singole regioni, e la quota eccedente il prezzo di riferimento (o di rimborso), che è definito da AIFA all’interno di una lista di trasparenza, che coincide, in genere, col prezzo del farmaco equivalente meno caro per una determinata categoria terapeutica. La differenza di prezzo tra il generico meno caro (rimborsato dal SSN) e la specialità risulta essere a carico del cittadino[5].

Il ticket, introdotto dalla legge 405/2001 nel Servizio Sanitario Nazionale, da strumento di responsabilizzazione dei cittadini, mirato soprattutto a disincentivare gli eccessivi consumi di farmaci e prestazioni mediche, è diventato sempre di più, a livello regionale, una voce significativa di finanziamento della sanità. La teoria economica tradizionale assegna ai ticket un duplice ruolo: in primo luogo, di controllo della domanda e, in subordine il finanziamento della spesa sanitaria. L’introduzione della compartecipazione del paziente alla spesa farmaceutica mira a finanziare il Sistema Sanitario Nazionale/Regionale e a diminuire allo stesso tempo il sovraconsumo di prestazioni sanitarie

Sempre nell’ambito del governo dei consumi, lo Stato Italiano, ha attribuito alla Agenzia del farmaco, istituita con l’art. 48, d.l. n.269 del 2003[6],  il potere – di natura tecnico-discrezionale – di redigere l’elenco dei farmaci rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale, sulla base dei criteri del costo e dell’efficacia, stabilendo, peraltro, meccanismi di sconto sul prezzo dei farmaci rimborsabili, al fine del contenimento della spesa farmaceutica a garanzia, nella misura più ampia possibile, del diritto alla salute mediante l’inserimento del maggior numero di farmaci essenziali nell’elenco di quelli rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale. La spesa per l’utilizzo di farmaci al di fuori delle indicazioni rimborsate, off-label, spesse volte delimitate dalle note limitative AIFA, è a carico del cittadino e ricade, quindi, nella spesa out-of-pocket.

Le note AIFA per l’appropriatezza prescrittiva rappresentano un passaggio importante per un uso razionale e consapevole dei farmaci rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale, pertanto, il loro utilizzo al di fuori delle reali indicazioni rappresentano fattispecie di danno erariale.

Dal rapporto Osmed vi è una differenza inter-regionale del valore di spesa privata, questo dato può essere addotto verosimilmente a 4 fattori:

  • Differenza di PIL pro-capite;
  • Differente approccio culturale all’utilizzo di farmaci generici e biosimilari;
  • Ricorso inappropriato all’utilizzo di note AIFA per l’appropriatezza prescrittiva
  • Differenti Politiche Regionali di governance farmaceutica e sanitaria

 

L’incidenza di acquisto privato in Italia e il differente ricorso alle note AIFA

Come evidenziato nel rapporto OsMed 2020[7], “nel 2021 la spesa per la compartecipazione per la quota eccedente il prezzo di riferimento dei farmaci a brevetto scaduto è stata pari a 18,3 euro pro-capite (circa 1,1 miliardi di euro). Questo valore rappresenta il 73,1% della compartecipazione totale del cittadino (inclusiva anche del ticket per ricetta e/o confezione) e registra un aumento dello 0,4% rispetto all’anno precedente e un tasso di crescita annuale composto (CAGR) dell’1,3% a partire dal 2017.

La spesa pro-capite per compartecipazione più elevata si registra al Sud e nelle Isole (23,8 euro), mentre quella minore al Nord con 13,6 euro, discostandosi dal valore medio nazionale rispettivamente del +30,2% e del ‐25,7%. Calabria, Campania e Lazio sono le Regioni con i valori di spesa più elevati (rispettivamente 25,2, 25,1 e 25,0 euro), mentre le PA di Bolzano e di Trento e la Valle d’Aosta registrano i valori più bassi, rispettivamente pari a 11,8, 12,7 e 12,9 euro”.

Da un’analisi di correlazione tra la spesa per compartecipazione e il reddito pro capite regionale (Fig.3) risulta che le Regioni a più basso reddito sono quelle che presentano una maggiore compartecipazione. In particolare, per Calabria, Campania, Sicilia e Puglia, che presentano un reddito pro capite rispettivamente inferiore e leggermente superiore ai 10.000 euro, si evidenzia una compartecipazione più elevata rispetto alla media nazionale (>20 euro).

 

Fig. 3- Correlazione tra reddito pro-capite e compartecipazione alla spesa farmaceutica- Rapporto Osmed “L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto Nazionale 2020”. AIFA, rielaborato da G.L. Colombo et al. ne “La relazione tra compartecipazione del paziente alla spesa farmaceutica, aderenza terapeutica e reddito: una revisione di letteratura”. 

Il fenomeno discusso, che vede una maggior spesa pro-capite per compartecipazione al Sud (differenza di prezzo tra il generico meno caro (rimborsato dal SSN) e la specialità risulta essere a carico del cittadino), è di ancor maggiore significatività se lo si lega al reddito pro-capite nelle varie regioni. Infatti, da questa correlazione emerge come le regioni con reddito pro-capite minore siano quelle a maggior spesa pro-capite per compartecipazione (si veda la Figura 3). Si fa riferimento, nel dettaglio, a Campania, Calabria e Sicilia, in cui il reddito medio pro-capite dichiarato è pari a circa 10.000 €. Di contro, invece, le regioni con reddito pro-capite maggiore (PA di Trento, PA di Bolzano, Lombardia) sono proprio quelle a spesa minore per compartecipazione. Da quanto osservato, emerge come la compartecipazione sia legata al reddito, ma, con un rapporto di proporzionalità inversa, per cui quanto minore è il reddito pro-capite dichiarato, tanto maggiore è la compartecipazione per la quota eccedente il prezzo di riferimento. Le cause possono essere molteplici, tra cui ragioni di carattere culturale, che spingono i pazienti ad acquistare il farmaco originator pagando la quota eccedente.

 

 

Tab. 1 – Composizione della spesa farmaceutica totale 2021 per Regione. Fonte dati: Rapporto Osmed “L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto Nazionale 2021”. AIFA.


Conclusioni

L’accesso ad una assistenza sostenibile e l’universalità delle cure sono valori comuni su cui si basa il Servizio Sanitario Nazionale pur nella eterogeneità organizzativa e finanziaria delle singole regioni.

La cronicizzazione delle patologie e l’invecchiamento della popolazione comportano inevitabilmente l’incremento dei costi delle tecnologie, la necessità di terapie innovative, la difficoltà nel reperire personale in modo che ci sia una distribuzione omogenea in tutto il comparto assistenziale e la necessità di mantenere sostenibile la spesa sanitaria; questi fattori determinano disuguaglianze nella popolazione per quanto concerne i risultati sanitari, a partire dall’accesso ai servizi.

È dimostrato che costi diretti più elevati per i pazienti si associano a una minore compliance terapeutica a lungo termine[8]. Ad esempio, considerato che le terapie con farmaci di marca hanno quasi il doppio della probabilità di essere sospese rispetto a quelle con farmaci equivalenti (farmaci prescritti e mai acquistati)[9], un aumento delle prescrizioni degli equivalenti potrebbe aumentare l’aderenza terapeutica. Considerato che la compliance terapeutica nelle malattie croniche si associa ad una riduzione della spesa sanitaria, un maggiore uso dei farmaci equivalenti permetterebbe di ridurre anche i costi dell’assistenza sanitaria, oltre a quelli direttamente legati ai farmaci[10].

Il sotto-utilizzo dei farmaci equivalenti è un fenomeno che non riflette i progressi della ricerca scientifica, che negli anni ha prodotto tre incontrovertibili evidenze: innanzitutto, il farmaco equivalente è altrettanto efficace e sicuro del farmaco di marca; in secondo luogo può contare su robuste evidenze di sperimentazioni e utilizzo (almeno 10 anni) del corrispondente farmaco di marca, che gli garantiscono un profilo rischio/beneficio molto più definito di qualunque nuovo farmaco; infine, il sotto-utilizzo degli equivalenti aumenta la spesa sanitaria privata e riduce la compliance terapeutica, in particolare nelle malattie croniche, con ulteriore aumento dei costi sanitari.

Inoltre, negli ultimi anni, caratterizzati dalla co-presenza di fattori di crisi, quali la pandemia da COVID-19, cambiamenti geopolitici (a partire dal conflitto russo-ucraino), l’esplosione dell’inflazione e dei costi energetici ed i ritardi delle filiere di approvvigionamento, l’analisi del rapporto tra livello di salute della popolazione e crescita economica del Paese sta acquisendo sempre più importanza. Mentre, infatti, in passato era ampiamente riconosciuto come le popolazioni dei Paesi ad alto reddito godessero di livelli più alti di salute e di aspettative di vita alla nascita più lunghe, negli ultimi anni si è iniziato a studiare anche la relazione inversa: un maggior livello di salute impatta positivamente sulla capacità di un Paese di generare reddito, e quindi crescita economica. In questo contesto, appare evidente come il ricorso alla compartecipazione sanitaria della spesa dipenda da molteplici fattori e l’approccio al corretto utilizzo di risorse pubbliche è influenzato da fattori culturali ed economici. In Italia, l’aumento del fenomeno dell’out of pocket per la spesa sanitaria globale, non solo farmaceutica, potrebbe essere considerato come una risposta da parte dei pazienti che mira a compensare le carenze e le inefficienze delle prestazioni sanitarie pubbliche; pertanto, i responsabili politici dovrebbero considerare tale aumento come un indicatore di scarsa qualità e difficoltà di accesso alle cure.

* Autori:
Lea Maurmo - IRCCS Oncologico "Giovanni Paolo II" , Bari 
Cataldo Procacci - ASL BAT
Vincenzo Signoretta - AUSL Imola


 Bibliografia

  1. Rapporto OASI 2021
  2. Eurostat: rapporto spesa sanitaria in Europa - Assidai – ultima consultazione il 07/12/2022
  3. M.Ruggeri, C.Drago, C.Cadeddu, A. Armuzzi, S.Leone, M. Marchetti - The Determinants of Out-of-Pocket Expenditure in IBD Italian Patients. Results from the AMICI Survey. Int. J. Environ. Res. Public Health 2020, 17, 8156
  4. Rapporto Meridiano sanità 17
  5. G.L. Colombo, C. Martinotti, A. Ciccarone, S. Di Matteo. La relazione tra compartecipazione del paziente alla spesa farmaceutica, aderenza terapeutica e reddito: una revisione di letteratura. CLINICO ECONOMICS ITALIAN ARTICLES ON OUTCOMES RESEARCH. VOL 17 / ANNO 2022 / PAG 51-64
  6. DECRETO-LEGGE N. 269, 30 SETTEMBRE 2003 (Gazzetta Ufficiale n. 229 del 02.10.03, Suppl. Ordinario n. 157) Convertito, con modificazioni, dalla legge 326/03. DISPOSIZIONI URGENTI PER FAVORIRE LO SVILUPPO E PER LA CORREZIONE DELL'ANDAMENTO DEI CONTI PUBBLICI
  7. Osservatorio Nazionale sull’impiego dei Medicinali. L’uso dei Farmaci in Italia. Rapporto Nazionale Anno 2020. Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), Roma 2021
  8. Goldman DP, Joyce GF, Zheng Y. Prescription drug cost sharing: associations with medication and medical utilization and spending and health. JAMA. 2007;298:61-9.
  9. Shrank WH, Choudhry NK, Fischer MA, Avorn J, Powell M, Schneeweiss S, et al. The epidemiology of prescriptions abandoned at the pharmacy. Ann Intern Med. 2010;153:633-40
  10. Roebuck MC, Liberman JN, Gemmill-Toyama M, Brennan TA. Medication adherence leads to lower health care use and costs despite increased drug spending. Health Aff (Millwood). 2011;30:91-9.

 

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