Premessa

L’importanza di dati corretti e di elevata qualità è fondamentale per le Istituzioni che hanno in carico la salute delle popolazioni, per effettuare rapidamente scelte appropriate per fronteggiare le sfide che le emergenze sanitarie impongono a livello globale.
Chi ha il difficile compito di prendere decisioni nelle emergenze, deve saper mediare tra il rigore scientifico basato sui dati, ben sapendo che la scienza non trasmette verità o certezze, ma è un processo spesso lungo e non lineare  che prosegue nel tentativo di ridurre l’incertezza e le altre priorità sociali proprie delle società complesse.

Questa pandemia da SARS-CoV-2 ha evidenziato anche, come la cultura scientifica meriterebbe unmaggior sforzo educativo nel nostro Paese. Ne sono prova le ingiustificate aspettative di certi politici, ovvero la pretesa di ottenere repentinamente dalla scienza ciò che gli scienziati non possono dare (certezze). Ma anche lo stupore per le diverse opinioni tra gli scienziati, almeno quelli che frequentano i talk show televisivi, non considerando che il mondo scientifico è esattamente lo specchio di qualsiasi altro contesto professionale, fatto ciò di professionisti seri e meno seri. Ma a differenza di altri contesti, quello scientifico sa distinguere il ciarlatano, il mediocre e il serio professionista. Lasciamo poi alla politica illuminata, il difficile compito della sintesi nell’interesse collettivo.

I Dati

I dati forniti dal sistema di sorveglianza delle malattie infettive mondiale (Global Surveillance of Infectious Diseases – GSID) coordinato dalla OMS, in collaborazione con buona parte di tutti i Paesi del Mondo e integrati con i dati locali di ogni Paese, consente di acquisire e diffondere in tempi rapidi le informazioni utili per il monitoraggio delle pandemie.
Utilizzando questi dati e considerando che nei diversi continenti sono in corso fasi diverse della pandemia, vogliamo effettuare una sorta di fotografia al 1° dicembre 2020 a livello mondiale, ma anche nel nostro Paese e nelle singole Regioni.  Sulla base dei dati generali, aggregati, il maggior numero dei contagiati e dei deceduti si registra nei continenti americano ed europeo, seguiti da Asia, Africa ed Oceania. Ad oggi quindi risulterebbero nel mondo oltre 63

milioni di contagiati e quasi 1,5 milioni di deceduti da infezione di covid-19. Considerato che il numero di contagiati implica l’effettuazione di tamponi, cosa non sempre possibile nelle diverse aree geografiche del mondo e che nella prima ondata, anche in Italia venivano testati solo i sintomatici, il numero dei contagiati effettivi dal virus è certamente molto sottodimensionato. E’ forse preferibile focalizzare l’analisi sul dato epidemiologico e cioè l’incidenza e la prevalenza degli eventi (decessi e guarigioni) su 100.000 abitanti, piuttosto che sul numero dei contagiati. I dati evidenziano quindi una più alta mortalità per 100 mila abitanti nel continente americano rispetto all’Europa, mente il dato dell’Asia mostra una minore diffusione del virus con una conseguente minore mortalità. Molto migliore, al momento, è la situazione africana e dell’Oceania.
A livello dei singoli Paesi, la figura mostra graficamente l’entità del contagio, rappresentata da una area circolare blu, tanto più estesa quanto maggiore è il nemero di casi registrati in quel Paese.

Si può così rilevare visivamente come i Paesi europei siano/siano stati largamente  interessati dalla pandemia.

Vedendo nel dettaglio i dati di ogni Paese, ordinati per numero decrescente di contagiati, si può osservare in assoluto l’elevato numero di decessi da virus covid-19 per gli Stati Uniti, l’India, il Brasile, il Messico, il Regno Unito e l’Italia.

Questi dati rapportati alla popolazione ed espressi per casi ogni 100 mila abitanti, hanno un ordine ben diverso, con il Messico al primo posto per mortalità, seguito dall’Argentina, dalla Spagna, dal Regno Unito, dal Brasile, dall’Italia e dagli Stati Uniti.

Ci sarebbe molto da discutere sul significato di questi dati in rapporto alla introduzione e sostegno in ogni Paese da parte dei governi, delle misure di prevenzione (mascherine, distanziamento, lavaggio delle mani, ecc.), nella capacità di organizzare piani per il contenimento della diffusione del virus, del livello e dell’accessibilità dei sistemi sanitari, della disponibilità dei trattamenti farmacologici, ma vogliamo soffermarci per il momento, solo alla registrazione di alcune differenze di eventi tra Paesi omogenei come lo sono i Paesi europei.  

Rispetto al numero di decessi per 100 mila abitanti tra prima e seconda ondata della pandemia, l’Italia (91) insieme a Regno Unito (94) e Spagna (97) ha i dati più elevati per mortalità. Sicuramente migliore la gestione complessiva della pandemia da parte della Francia (83) e soprattutto della Germania (21), ma attendiamo il termine di questa seconda fase in tutti i Paesi europei.

 

La situazione in Italia

L’Italia fu il primo Paese europeo a fronteggiare il Covid-19, probabilmente senza un piano pandemico aggiornato, in una situazione di oggettiva difficoltà e di impreparazione ad affrontare una emergenza pandemica.

Tutti ricordiamo l’esordio in Lombardia con l’impressionante numero di morti e la successiva diffusione del virus verso altre regioni. Ricordiamo anche come nella prima fase dell’emergenza covid, venissero effettuati pochi tamponi e praticamente solo ai pazienti (non tutti) che si presentavano ai pronto soccorso con la sintomatologia da infezione virale covid-19.  Se osserviamo i due grafici, sui positivi al test e sulla mortalità per lo stesso periodo, osserviamo che i contagiati in concomitanza del picco di mortalità del 28 marzo, sono di gran lunga sottostimati in rapporto ai contagiati corrispondenti al picco di mortalità di fine novembre/inizio dicembre. A moltissimi di questi pazienti deceduti nella prima fase, non venne nemmeno fatto il tampone che sarebbe risultato comunque positivo, vista la sintomatologia e i riscontri diagnostici. Da questi grafici appare comunque evidente che la seconda fase, per contagi e per mortalità, risulterebbe in fase discendente, a parità di condizioni attuali (regole previste dai vari DPCM).

Analogo andamento dei due picchi, è confermato anche dal numero di ricoveri covid in terapia intensiva con il superamento delle due soglie di attenzione arancione e rossa sia a marzo che a novembre. 

Focalizzando invece l’attenzione sulla dimensione regionale e sui risultati ottenuti dai nostri 20 sistemi sanitari, nati da errori politici di sottovalutazione del problema e cresciuti nell’egoismo territoriale e sulla inadeguatezza organizzativa e gestionale da parte di molte Regioni (non solo del Sud), possiamo vedere graficamente rappresentata  l’immagine della distribuzione e l’entità del contagio.

Soprattutto la Lombardia, con la sua organizzazione sanitaria ospedalocentrica e l’assenza di strutture assistenziali territoriali, paga un prezzo salatissimo in termini diffusione del contagio e di perdita di vite umane.

Il numero di deceduti complessivi per 100 mila abitanti (219) è secondo solo alla piccola Valle d’Aosta  (253) ma davanti a Liguria (156), Piemonte (145), Emilia Romagna (130) e Trentino-Alto Adige (111). Il numero dei contagiati in Lombardia (oltre 411 mila, fino ad ora) è notevole, ma sarebbe in realtà molto maggiore se si potessero includere anche tutti i positivi non testati perchè asintomatici, nella prima fase della pandemia.

C’è da sottolineare che la Regione Lombardia ha anche la più alta densità abitativa tra tutte le regioni e la maggiore mobilità di persone per ragioni lavorative.

Certamente non ha aiutato nella prevenzione dei contagi, l’atteggiamento, mostrato dalla propria classe politica, di insofferenza verso le restrizioni della mobilità e verso l’utilizzo sistematico della mascherina, introdotte dai provvedimenti governativi.

 

 

 

 

 

Le lezioni della pandemia

La pandemia è ancora in corso e durerà a lungo, ma ci sono già molti elementi che ci possono suggerire una serie di considerazioni di natura organizzativa in ambito sanitario e di natura politico-sociale, che sono di seguito riassunti.

  • L’impreparazione e gli errori commessi nel nostro Paese nella fase iniziale della pandemia non sono dovuti solo alla imprevedibilità nella biologia di un virus e al suo modo di causare la malattia nell’organismo umano, ma sono soprattutto il frutto dell’assenza di un sistema epidemiologico finalizzato a cogliere precocemente i segnali di situazioni di allarme.
  • Teoricamente, tutto questo era previsto e articolato nel Piano nazionale di preparazione e risposta a una pandemia influenzale, emanato dal Ministero della salute nel 2006 su indicazione nel 2005 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, recepito dalle Regioni e Province autonome italiane e mai attivato realmente: è doveroso comprendere che cosa non ha funzionato.
  • L’organizzazione del sistema sanitario su base regionale non ha certo aiutato nell’adozione di provvedimenti rapidi finalizzati al contenimento della diffusione della pandemia. Tutti ricordiamo le prese di posizione, i distinguo e la cacofonia che accompagnava ogni decisione assunta a livello nazionale. Ma non solo, l’iter per arrivare ad una decisione doveva passare al vaglio delle Regioni e dei loro interessi di carattere economico e di natura politico-elettorale, con il moltiplicarsi di polemiche e i conseguenti ritardi.  Una conseguenza è stata l’inazione e i mancati interventi preventivi nel periodo estivo che hanno poi innescato la seconda fase della pandemia con decine di migliaia di morti.
  • La sanità regionalizzata, inoltre, ha fatto sì che nel corso degli anni venissero attivati molteplici sistemi informativi sanitari (SIS), con obiettivi diversi, differenti coperture territoriali e in carico a strutture e competenze territoriali diverse. L’eterogeneità tra i vari sistemi informativi – dovuta in parte ai cambiamenti nel tempo dei bisogni di salute della popolazione e all’evoluzione della tecnologia informatica, unita alla confusa ed eterogenea applicazione della normativa vigente in tema di protezione dei dati personali – ha comportato e comporta, una serie di difficoltà nell’accessibilità e nell'utilizzo dei dati per produrre in tempo reale o quasi, le informazioni necessarie a monitorare e contrastare l’emergenza.
  • Il fallimento dell’assistenza territoriale, in molte Regioni (es. Lombardia) evidenzia carenze progettuali e  organizzative che non consentono la piena integrazione ospedale-territorio. L’impiego di gruppi di professionisti integrati, costituiti da figure dell’assistenza territoriale e da figure dell’assistenza ospedaliera, con il coinvolgimento dei medici di medicina generale, potrebbe invece creare un sistema capillare di assistenza territoriale.  E’ così difficile creare un unico modello valido per tutto il territorio nazionale?
  • Il dramma dei decessi multipli in molte RSA ci impone anche un ripensamento sul mantenimento di modelli assistenziali probabilmente obsoleti, rispetto ai grandi cambiamenti epidemiologici e sociali che ci sono stati negli anni.  In un mondo in cui si parla di invecchiamento attivo, ha senso continuare a investire risorse per la sostenibilità di quei modelli? Oppure sarebbe meglio puntare alla realizzazione di servizi che consentano la cura e l’assistenza degli anziani nei loro contesti abituali di vita?
  • Sul piano politico-sociale, toccare con mano, nonostante la potenza scientifica e tecnologica, nonostante livelli di crescita economica mai raggiunti nella storia dell’umanità, quanto siamo vulnerabili di fronte a un virus, dovrebbe farci riflettere sulle basi effimere di un pensiero, largamente diffuso, che ha alimentato l’illusione di poter dominare, senza limiti, la natura.
  • E non è solo la mancanza di precauzione che ha consentito a un virus, che presumibilmente viveva in un animale selvatico nel suo ambiente naturale, di contagiare trasmigrando, persone con conseguenze così devastanti. Questa pandemia mostra tutta  la nostra fragilità in questo mondo globalizzato e la necessità vitale di sviluppare cooperazioni fra popoli e governi del mondo per depotenziare ricadute economiche negative e prevenire ogni minaccia per l’umanità.  Su questo piano economico le criticità presenti, causate dai vari lockdown che hanno penalizzato la produzione, potrebbe generare un effetto domino pericoloso per i Paesi più colpiti dalla pandemia. Le istituzioni e i governi europei capiranno questa lezione e saranno in grado di fare di questa crisi l’occasione per un rilancio della credibilità e della forza del progetto europeo?
  • E anche in Italia ne faremo un’occasione per mettere a punto la nostra visione dell’Europa che non è una mensa che distribuisce pasti gratis, ma una casa comune che, nei momenti difficili, deve chiedere a tutti maggiore impegno?
  • In questi periodi di crisi ci siamo misurati con un interessante confronto sulle produzioni essenziali da tenere aperte per limitare i rischi per la salute. Abbiamo accettato la chiusura dei negozi che ha comportato un taglio dei nostri consumi, temporaneo, ma comunque drastico. La limitazione degli spostamenti ha tenuto le auto ferme (salvo necessità). Tutte misure eccezionali, necessarie per rispondere a una crisi senza precedenti, misure temporanee necessarie per prevenire la diffusione della pandemia.
  • Ma poi torneremo, come se nulla fosse successo, a produrre ogni cosa, necessaria e superflua senza più pensare alla salute? Torneremo al consumismo sfrenato, senza neanche pensare quanto sia realmente benefico, e al traffico congestionato e inquinante?
  • Avrà qualche conseguenza il fatto che il maggiore inquinamento dell’aria, in particolare da particolato, sia stato una delle possibili cause, non certo la sola, ma comunque sembrerebbe non trascurabile in alcune zone del Paese, di una maggiore diffusione e di una maggiore vulnerabilità nei confronti del coronavirus?
  • La pandemia, riducendo spostamenti e attività economiche, ha ridotto anche le emissioni di gas serra. Superata la pandemia si tornerà a emettere come prima o più di prima, oppure avremo maturato da questa crisi globale, maggiore consapevolezza per affrontarne, in tempo, anche un’altra: quella del riscaldamento globale?

Se non saremo in grado di mettere a frutto gli insegnamenti tratti da questa pandemia sia sul piano organizzativo sanitario, sia sul piano politico-sociale, avremo fallito un’altra occasione per correggere gli errori del passato e per riprogrammare uno sviluppo sostenibile, mediando tra legittime aspirazioni di crescita e la necessità di una maggiore consapevolezza e sobrietà negli stili di vita e nel consumo delle risorse.

 

Bibliografia essenziale


 

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